Quello tra l’esigenza di installare sistemi di videosorveglianza e diritto alla privacy in condominio è da tempo spunto di controversie e dibattiti. Lo è stato soprattutto qualche anno fa, per via di un vuoto legislativo colmato, in parte, dalla Legge N.220/2012, meglio nota come Riforma del Condominio. Ma in un ambito come quello condominiale, costituito da un sistema di proprietà private e parti comuni, i confini sono sempre labili ed è facile che si creino situazioni di contrasto tra il diritto collettivo e quello del singolo.
Quando installare un sistema di videosorveglianza in condominio è legittimo? Quali sono, invece, i casi in cui un singolo condomino può opporsi, invocando il suo diritto alla privacy? Cerchiamo di capirlo meglio, anche alla luce delle recenti novità in materia di GDPR (General Data Protection Regulation, tradotto: Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati).
Telecamere in Condominio e diritto alla Privacy
Come abbiamo già avuto modo di trattare in un precedente articolo, la legge N.220/2012 è intervenuta a fare chiarezza riguardo l’installazione di telecamere in condominio. In particolare, l’articolo 1122-ter della suddetta legge stabilisce che l’assemblea condominiale può deliberarne l’installazione col voto favorevole della maggioranza degli intervenuti, a patto che rappresentino almeno la metà del valore millesimale dell’edificio.
Perché il provvedimento sia al riparo da legittime contestazioni sono necessari però alcuni accorgimenti. Innanzitutto, dev’essere presente e ben visibile la segnalazione delle aree oggetto di videosorveglianza, attraverso appositi cartelli informativi. In secondo luogo, le riprese devono rimanere limitate alle parti comuni e non puntare su proprietà private altrui o su spazi esterni, quali, ad esempio, strade pubbliche o esercizi commerciali.
Le registrazioni acquisite dalle telecamere devono inoltre essere conservate per un tempo limitato, mai più di 48 ore, e protette, rendendole accessibili solo al personale autorizzato. Tutti principi fissati dal regolamento N.679/2016 dell’Autorità Garante della Privacy.
Il caso di Bucarest
Sono tanti i casi e le sentenze pronunciate per contenziosi legati a videosorveglianza e diritto alla privacy in condominio. E’ interessante, in questo senso, analizzarne uno che ha di recente coinvolto la Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Il caso è quello di un cittadino rumeno, che ha contestato l’installazione di un sistema di telecamere in alcune aree del condominio in cui risiede. Provvedimento deliberato dalla maggioranza dell’assemblea condominiale per motivi di sicurezza.
La decisione ha fatto seguito a una serie di episodi, quali atti vandalici ai danni dell’ascensore, effrazioni e furti in appartamento. Episodi che si sono ripetuti anche dopo l’installazione di un sistema d’accesso all’immobile regolato da citofoni e carta magnetica di riconoscimento. I giudici del tribunale di Bucarest hanno quindi interpellato la Corte Europea per chiarire se fosse legittimo fare ricorso alla videosorveglianza di un’area anche senza il consenso di alcune delle persone interessate.
Videosorveglianza senza il consenso: quando si può?
La causa in questione, C-708/2018, ha portato, l’11 dicembre 2019, al pronunciamento della Corte di Giustizia Europea. Nella fattispecie, è stato sottolineato che il ricorso a sistemi di videosorveglianza in condominio è consentito anche senza il consenso delle persone interessate solo se il fine è quello di perseguire legittimi interessi, come appunto garantire la protezione di beni e l’incolumità delle persone.
Nel pronunciarsi, la Corte Europea s’è richiamata agli articoli 6 e 7 della Direttiva 95/46/CE in materia di tutela della Privacy. Un aspetto significativo questo, soprattutto alla luce dell’entrata in vigore del Regolamento Europeo N.2016/679. Si tratta della nuova legge in materia di privacy e protezione dei dati sensibili, varata dalla Commissione Europea e ufficialmente in vigore a partire dal 25 maggio 2018, nota come GDPR.
Ne abbiamo sentito parlare molto negli ultimi mesi, con varie compagnie (banche, assicurazioni e società di servizi) che ci hanno chiesto la presa in visione e l’accettazione del nuovo regolamento.
Tornando al nostro caso di videosorveglianza e diritto alla privacy in condominio, nonostante l’entrata in vigore del GDPR abbia di fatto sostituito la vecchia direttiva 95/46/CE, i giudici della corte europea, nel pronunciarsi, si sono rifatti proprio a due principi cardine di quest’ultima.
I principi della Direttiva Europea
I sopracitati articoli definiscono, in particolare, tre principi fondamentali per l’attuazione di provvedimenti che vanno a interessare la sfera della privacy. Come, appunto, nel caso di installazione di un sistema di videosorveglianza in condominio. Il primo di questi è il legittimo interesse del fine perseguito.
Nella fattispecie, il fine perseguito è quello di garantire la sicurezza dei beni e l’incolumità delle persone che abitano nel condominio. E la necessità di farlo attraverso il ricorso all’installazione di telecamere è legittimata dal susseguirsi degli atti di vandalismo e delle violazioni di domicilio subite dai condomini. A maggior ragione, dopo che altri provvedimenti, come il portoncino d’accesso regolato da citofoni e carta magnetica, si sono rivelati inefficaci.
Il secondo principio riguarda la necessità di acquisire dati sensibili per il perseguimento dello scopo. Una volta ritenuto legittimo il fine di volersi tutelare a fronte di episodi che mettono a repentaglio la sicurezza di chi vive nello stabile, ci si chiede dunque se il ricorso all’installazione di telecamere sia il sistema più funzionale allo scopo. Il caso che abbiamo preso in esame ne è un esempio calzante. Qui il ricorso al sistema di videosorveglianza condominiale arriva dopo che altre misure meno invasive sono risultate inefficaci. Significa quindi aver valutato e percorso altre strade, prima di arrivare a imboccarne una che va ad acquisire dati potenzialmente in contrasto col diritto alla privacy.
Si fa inoltre richiamo ai principi di minimizzazione e di carattere proporzionato del trattamento dei dati, espressi dall’articolo 6 della Direttiva 95/46/CE. In sostanza, i dati sensibili raccolti (quelli cioè che riguardano le singole persone e che rientrano nell’ambito del diritto alla privacy) devono essere limitati alla finalità dello scopo e il meno impattanti possibile. Riferendoci al caso in questione e quindi alla videosorveglianza del condominio, l’installazione delle telecamere solo nelle parti comuni e limitatamente ai punti chiave, come il portone d’accesso e l’ascensore, ne rispetta i dettami. Cosa ben diversa sarebbe avere un sistema con telecamere installate su ogni pianerottolo e puntate sulle porte d’ingresso di ogni singolo appartamento.
Altri elementi da tenere in considerazione in fatto di carattere proporzionato del trattamento è valutare se le riprese sono effettivamente efficaci a garantire lo scopo di proteggere la proprietà. Si deve inoltre tenere conto dell’opportunità di acquisirle solo in certe fasce orarie (di notte, ad esempio) o se escludere immagini riprese da aree dove la sorveglianza non è necessaria.
Terzo e ultimo principio chiave sancito dal pronunciamento della Corte Europea è ponderare il diritto del singolo con quelli della collettività. Se, da un lato, c’è la legittima esigenza di tutelare i beni e le proprietà dei condomini, nonché la loro incolumità, dall’altra c’è quella di ogni singolo condomino di poter vivere la propria quotidianità senza che questa sia di pubblico dominio. Il giudice chiamato a pronunciarsi su casi di questo genere dovranno quindi soppesare bene gli elementi in gioco e valutare se il perseguimento dello scopo collettivo (la sicurezza del condominio) avvenga senza ledere il diritto alla riservatezza del singolo.
Rientra in quest’ambito assicurarsi che i dati siano conservati per un arco di tempo limitato e che siano accessibili solo da parte del personale autorizzato. In questo caso, ad esempio, il personale di turno della società di vigilanza eventualmente ingaggiata o un’altra persona incaricata dall’assemblea. Trattandosi di riprese video in cui possono comparire i condomini nelle loro azioni quotidiane, non devono essere accessibili a chiunque.
Il valore probatorio delle riprese
Il pronunciamento della Corte Europea riguardo la causa C-708/2018, che abbiamo preso ad esempio, non va a confliggere con le norme stabilite a livello nazionale. Restano quindi valide le disposizioni di legge che abbiamo analizzato nell’articolo su quando si è autorizzati a installare telecamere in condominio e quando è vietato.
Va ricordato, inoltre, che le immagini acquisite hanno sempre valore probatorio. Ovvero, possono essere utilizzate come elemento di prova in tribunale, anche quando ottenute senza il rispetto del GDPR. Lo ha ribadito la sentenza N.28554/2013 della Corte di Cassazione, sottolineando che l’acquisizione di videoregistrazioni è da considerarsi prova documentale consentita dall’Art. 234 del Codice di Procedura Penale.
Sentenza che fissa un concetto chiaro: quanto disciplinato dal garante per la protezione dei dati personali non costituisce sbarramento all’esercizio dell’azione penale. Tradotto: se le telecamere condominiali riprendono un reato penalmente perseguibile, le relative riprese possono essere usate come prova in tribunale, indipendentemente da ogni eventuale contestazione relativa alla violazione della privacy.