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Problemi di convivenza tra condomini

Problemi di convivenza tra condomini

Problemi di convivenza tra condomini

In una realtà condominiale non è raro che si verifichino problemi di convivenza tra condomini. Se nella maggior parte dei casi si tratta di discussioni e piccole scaramucce, capita tuttavia che si sfoci in minacce o reati perseguibili anche a livello penale.

Dati statistici

Partiamo da alcuni significativi dati statistici. Secondo quanto rilevato da alcune compagnie di assicurazione, il 62% degli intervistati dichiara di ignorare o di essere addirittura ostile nei confronti dei propri vicini di casa. Le motivazioni principali sono la carenza di volontà e di tempo nel coltivare rapporti (dichiarata dal 44% del campione) e la mancanza di fiducia (16%).

Sempre secondo questi dati, i problemi di convivenza tra condomini riguardano, nel 64% dei casi, le parti comuni. A seguire ci sono, nell’ordine, schiamazzi (48%), il disturbo arrecato dal volume troppo alto di televisori o impianti audio (40%), questioni riguardanti bambini e animali domestici (36%) e altre legate a odori ritenuti molesti (31%).

Quando una lite sfocia nel penale

Sono tanti i motivi che possono essere oggetto di discussione, creando quindi problemi di convivenza tra condomini. In alcuni casi queste discussioni possono generare ostilità tali da degenerare in atti perseguibili a livello penale.

Quando una lite sfocia nel penale? Il caso più diffuso è quello delle minacce. A livello giuridico c’è una distinzione tra il cosiddetto “illecito in parola” (definito dall’Art. 612 del Codice Penale), ovvero il caso di minaccia verbale, e quello di minaccia grave (Art. 339 del Codice Penale). Non sono rari anche casi di stalking, al punto che, negli ultimi anni, si è arrivati a definire il reato di “stalking condominiale” (come da sentenza di Cassazione n.20895/2011).

La minaccia verbale

Si parla di minaccia verbale nel caso in cui qualcuno manifesti un’attitudine intimidatoria nei confronti di un altro condomino. Ai fini penali però non è necessario che l’intimidazione si concretizzi. Una frase come “te la farò pagare…”, tanto per citare l’esempio concreto di un caso recente su cui s’è pronunciata la Corte di Cassazione (sentenza n.28567/2018), è bastata a configurare il reato di minaccia. Quando, infatti, l’intento minaccioso viene manifestato a seguito di ripetuti episodi di astio e contrasti tra condomini, il pericolo che possa tradursi in azione è considerato concreto. In questo caso si parla di condizione che incide sulla libertà morale del soggetto minacciato.

A fare la differenza è proprio il contesto. Lo stesso tipo di minaccia pronunciata in un occasionale diverbio tra automobilisti avrebbe una valenza diversa. Quando si tratta, invece, di persone che condividono uno stesso spazio e che si trovino a vivere spesso situazioni di contatto e di conflitto la minaccia diventa credibilmente concretizzabile. In questi casi si può procedere penalmente, attraverso una querela. Il reato di minaccia verbale, quando riconosciuto, può portare a sanzioni pecuniarie fino a 1032 euro. Nel caso in cui la minaccia venisse pronunciata da più persone o manifestata attraverso armi, si configurerebbe il reato di “minaccia grave”, dove la pena può arrivare fino a un anno di reclusione.

A questo proposito c’è anche la sentenza n. 459 (17-05-2018), del TAR della Liguria, che ha rigettato il ricorso di un condomino a proposito della revoca del porto d’armi. Il provvedimento di revoca aveva fatto seguito a episodi dove la persona in questione s’era resa protagonista di situazioni conflittuali con altri condomini. Questo aveva portato a considerare la persona potenzialmente pericolosa e quindi non idonea a detenere armi. Il principio di salvaguardia dell’incolumità del cittadino è prioritario e porta, di conseguenza, a negare la detenzione d’armi a chi si ritiene possa abusarne.

In caso di proscioglimento dell’accusato

Nel caso di querela per minaccia che si conclude col proscioglimento dell’accusato, non è automatico che questi possa rivalersi sul suo accusatore. Perché si possa ottenere un risarcimento per danni, morali o patrimoniali che siano, bisogna dimostrare che il querelante abbia agito con intento calunnioso, ovvero in maniera non fondata e al solo scopo di denigrare l’accusato, come ribadito da varie sentenze della Corte di Cassazione (vedi, ad esempio, la n.1542 del 2010).

I problemi di convivenza tra condomini sono all’ordine del giorno e non è raro, purtroppo, che sfocino in casi di rilevanza penale. Ecco perché abbiamo voluto oggi trattare questo argomento, pur nell’auspicio che, se non l’armonia e la pacifica convivenza, possa quantomeno prevalere il buon senso.

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